19-05-2019

La dipendenza da sostanze come modalità di disattivazione del sistema dell’attaccamento - tratto da Mission 51

La dipendenza da sostanze come modalità di disattivazione del sistema dell’attaccamento - tratto da Mission 51 Questo lavoro, pubblicato su Mission 51, si propone di esaminare la connessione tra lo sviluppo di una dipendenza patologica dalle sostanze e la presenza di una diagnosi di attaccamento insicuro, valutato attraverso la somministrazione del Separation Anxiety Test (SAT) su un campione di pazienti degenti in comunità terapeutica. Per ogni paziente sono evidenziati i principali dati storici, ricavati all’interno di un setting psicoterapeutico, che permettono di inferire la sua vicenda di allevamento nella relazione con entrambi i genitori.  Il pattern di attaccamento individuato con il SAT trova corrispondenza nello schema relazionale prevalente adottato dal soggetto nel contesto di cura, consente di orientare le decisioni terapeutiche e aiuta a regolare la responsività degli operatori.
I risultati dell’indagine evidenziano la presenza nella quasi totalità del campione di pattern insicuri di attaccamento, con un’elevata percentuale di modelli operativi interni disorganizzati. Questi dati trovano conferma in analoghe ricerche sul pattern di attaccamento di soggetti dipendenti da sostanze.  È quindi possibile che la sostanza, per le sue qualità dopaminergiche che attivano i circuiti cerebrali legati alla ricompensa, alla gratificazione, risponda ad una domanda del soggetto che proviene da uno stato carenziale originario, connesso con esperienze prevalentemente non gratificanti, se non dolorose, nella relazione di caregiving. Sono stati inoltre confrontati i pattern di attaccamento dei soggetti con diagnosi di alcolismo con quelli dei soggetti che hanno una diagnosi di tossicodipendenza in cui le sostanze principali sono oppiacei e cocaina.
In conclusione, la conoscenza dello stile di attaccamento del paziente può aiutare il terapeuta a comprendere emozioni e comportamenti che si verificano durante la terapia; a evitare il rischio di riprodurre e riconfermare indirettamente al paziente i suoi modelli operativi interni riattivandone l’attaccamento disfunzionale; a sapere quale può essere la risposta più adeguata al fine di rendere anche il paziente più consapevole del proprio funzionamento emotivo, cognitivo e comportamentale in modo che possa diventare più capace di trovare strategie di regolazione e controllo dei propri stati mentali. (Roberto Berrini, Renato Sidoti, Federica Beltrami, Laura De Vecchi, Eugenia Luraschi, Lucia Monicchi)