28-11-2017

Cannabis per uso medico, serve ancora chiarezza

Cannabis per uso medico, serve ancora chiarezza Le evidenze scientifiche sui benefici, i dosaggi, le modalità di allestimento, la stabilità del preparato somministrato sono solo alcuni dei dubbi che ancora restano sul corretto utilizzo della cannabis a scopi medici, nonostante siano trascorso due anni dall’entrata in vigore del Decreto Ministeriale n.279 del 9 Novembre 2015, che ha previsto l’erogazione a carico del Servizio Sanitario Nazionale dei trattamenti a base di cannabis per uso medico. Il tema è stato al centro del recente congresso nazionale, tenuto a Roma, della Società dei Farmacisti ospedalieri e dei Servizi territoriali delle aziende sanitarie (Sifo).
Nel periodo novembre 2015-agosto 2017, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità citati da Quotidiano Sanità, a livello nazionale sono stati circa 3.500 i pazienti trattati con la cannabis per un totale di 5.800 preparazioni somministrate. A fronte di ciò, sottolineano dalla Sifo, “non esistono dosaggi standardizzati, così come non sono state investigate le eventuali interazioni con altri farmaci, considerando che la cannabis è prescrivibile come trattamento sintomatico di supporto alle cure standard previste per le patologie indicate nel Dm 279… (inoltre) non tutte le Regioni si sono mosse con la stessa rapidità nel recepire il decreto del 2015, addirittura alcune non lo hanno ancora fatto”.
Restano dei punti da chiarire, poiché, se è vero che ai due principi attivi della cannabis sui quali si sono concentrati la maggior parte degli studi – il tetraidrocannabinolo (Thc) e il cannabidiolo (Cbd) – è stato riconosciuto un ruolo nel trattamento di numerose patologie, è altrettanto vero  che nella cannabis ci sono più di un centinaio di molecole diverse che potrebbero avere potenziali effetti sia terapeutici che avversi. Per questo sono necessari nuovi studi sulla questione poiché i farmacisti che si occupano dell’allestimento necessitano – nelle parole di Silvia Di Marco, segretario Sifo Regione Umbria – di “avere punti fermi sulle modalità di preparazione, mediante protocolli rigorosamente standardizzati al fine di garantire la continuità terapeutica al paziente (dati certi sulla stabilità e sul quantitativo di principio attivo di ogni preparazione) e di conseguire un’organizzazione del lavoro più efficiente”.