06-06-2017

La difficile comunicazione del rischio addiction

La difficile comunicazione del rischio addiction “Quel carillon inquietante. Il voiceover: Hanno detto che così avrei scordato tutti i miei problemi. Certo! Adesso solo questo è il mio problema, il resto è niente… e gli occhi bianchi che ricordiamo tutti. CHI TI DROGA TI SPEGNE (…) Il breve testo d’accompagnamento diceva: Ti può succedere di incontrare qualcuno che ti offra qualche droga, o che ti giura che la droga non fa male e che puoi smettere quando vuoi. Chi ti offre droga, o chi ti invita ad usarla, lo fa perché vuole usare te”. Così esordisce un pezzo di Andrea Coclite per la rivista Rolling Stone, riferendosi a quella che l’autore ritiene la “Pubblicità Progresso più famosa di tutti gli anni novanta”.
E’ necessario contestualizzare, poiché allora (esattamente nel 1989) la tossicodipendenza era trattata come un problema esclusivamente giovanile e circoscritto a gruppi specifici. In effetti, se decenni addietro comportamenti a rischio quali l’uso di sostanze stupefacenti o l’abuso di alcol venivano percepiti come appannaggio di specifiche fasce della popolazione, oggi  l’addiction (da sostanza e non) risulta più trasversale. Ad esempio, le nuove dipendenze sono spesso legate ad abitudini e stili di consumo del tutto legittimi e spesso socialmente incentivati. Esse non si collocano nella dimensione della trasgressione e di ciò che viene abitualmente disapprovato e stigmatizzato, ma piuttosto nascono all’interno della quotidianità, della ‘normalità’, proprio perché si sviluppano a partire da comportamenti del tutto leciti. Comportamenti talvolta agiti per rispondere a stimoli sociali propugnanti la necessità di vivere con intensità le occasioni che si presentano, liberandosi (anche solo per un momento) di ogni legame, vincolo o confine. Un contesto in cui diventano sempre più rilevanti le caratteristiche dell’individuo e dell’ambiente, ma anche le interazioni, le pressioni, i modelli sociali e, naturalmente, le strategie commerciali e i messaggi pubblicitari associati al consumo.
Ciò considerato, quella del 1989 è stata una campagna spartiacque e da quel momento in poi le pubblicità anti-droga hanno tentato di risultare più empatiche e meno terrificanti, con l’obiettivo di raggiungere con maggiore efficacia il proprio target. Ma con quali risultati? Prosegue Coclite: “Ecco la sintesi perfetta dei due problemi delle campagne anti-droga italiane: il terrorismo psicologico da una parte e la goffa coolness giovanile dall’altra. L’effetto complessivo è ansiogeno, confusionario e per certi versi inquietante”. Di seguito la selezione proposta, a partire dal celebre spot del 1989.
http://www.rollingstone.it/rolling-affairs/news-affairs/quando-lo-spot-antidroga-non-funziona/2017-06-04/#Spegne