Manicomi chiusi, problemi aperti
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Come evidenziano i due autori, il numero dei ricoveri in acuto si sta riducendo e il ricorso al Tso è stabile (1,7 ogni 10mila abitanti), grazie anche alla capillare rete dei centri di salute mentale, che nonostante le difficoltà, sono l’asse portante della assistenza psichiatrica in Italia, soprattutto per le patologie più gravi (schizofrenia, psicosi, disturbi bipolari) che vedono le persone arrivare in ritardo alle cure, venendo però poi più stabilmente mantenute in carico ai servizi (il 90% degli assistiti rimane ai servizi territoriali e poco più del 10% viene poi seguito nelle Comunità).
Dopo la recente chiusura degli Opg, quali dovranno essere i prossimi passi? Riservare il 6% del fondo sanitario alle cure mentali, garantire standard di qualità di assistenza in tutte le Regioni, implementare il co-housing e le politiche di reintegrazione graduale nei contesti lavorativi, procedere all’assunzione di personale qualificato e stabile, stanziare maggiori fondi per la ricerca in ambito neuropsicofarmacologico e nel settore delle terapie integrate, trovare soluzioni alternative alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), promuovere campagne di sensibilizzazione anti stigma. Posto che alla salute mentale viene riservato il 3,1% del fondo nazionale della sanità – in altre nazioni europee come la Francia o la Germania 10% – bisogna investire di più, “vincolare le risorse destinate, fissare standard minimi di personale dedicato, poiché la contrazione delle risorse ha avuto un impatto maggiore sull’assistenza psichiatrica che in altre discipline, nelle quali la tecnologia ha potuto sopperire in parte al fattore umano”, concludono gli autori.