22-03-2017

Pornografia in Rete. Il confine tra eccesso e dipendenza

Pornografia in Rete. Il confine tra eccesso e dipendenza Non è una novità che la pornografia sul web sia un fenomeno di portata globale. Sono 4,6 miliardi le ore passate nel 2016 su Pornhub – un sito di condivisione libera di materiale pornografico – dagli utenti del web, per una media di 12,5 video visualizzati per singolo abitante del pianeta. Lo riporta un articolo di Davide Turrini, il Fatto Quotidiano, citando una ricerca dell’Università Loránd Eötvös di Budapest, secondo cui le abitudini del 4% degli utenti del web configurerebbero una vera e propria dipendenza da porno. I ricercatori ungheresi hanno appena pubblicato un questionario che intende misurare la problematicità del rapporto con la pornografia online. Si tratta di diciassette domande che spaziano dall’importanza che il porno ha nella propria vita alle motivazioni e agli impulsi che inducono a consumare pornografia, dai problemi causati dalla visione di filmati hard alla propria sessualità alla capacità o meno di restarne volontariamente lontani.
Anche l’Università di Laval nel Quebec ha recentemente realizzato un test che, in maniera del tutto simile a quello ungherese, mira a stimare la soglia di criticità comportamentale dei fruitori di pornografia online. I risultati hanno permesso di creare tre categorie di ‘porno-dipendenti’. In primo luogo, il ‘ricreativo’, che dedica una ventina di minuti a settimana alla pornografia, presenta bassi gradi di compulsività e moderato impegno per accedervi. Si tratterebbe principalmente di femmine e soggetti con partner. In secondo luogo, lo ‘stressato’, che, pur limitando la fruizione di filmati hard a pochi minuti alla settimana, ne ricava un forte stress emotivo. Infine, il profilo ‘compulsivo’, che  rappresenta il 12% dell’utenza, descrive chi sfiora le due ore settimanali di visione e annovera soprattutto maschi, inclini alla compulsività e restii a ricercare rapporti sessuali ‘reali’. Una ulteriore ricerca di Valerie Voon, neuroscienziata dell’università di Cambridge, ha tentato di tracciare un profilo ancora più preciso, descrivendo i compulsivi come  uomini tra i 19 e i 34 anni, spesso con alle spalle relazioni sentimentali interrotte e occupazioni perdute.
Ma il comportamento sessuale compulsivo è dunque da considerare una dipendenza a tutti gli effetti? Per rispondere a questa domanda la stessa Voon, insieme a Shane Kraus e Marc Potenza (2016), ha passato in rassegna evidenze epidemiologiche, fenomenologiche, cliniche e biologiche  e le ha poi valutate in relazione alle dipendenze da sostanze. Dalla comparazione emerge come medesimi sistemi di neurotrasmettitori contribuiscano sia ai comportamenti sessuali compulsivi che all’abuso di sostanze, mentre recenti studi con neuroimaging evidenziano similitudini rispetto al craving e ai bias attenzionali. Ad ogni modo, nonostante sia anche riconosciuta la applicabilità di trattamenti farmacologici e psicoterapeutici simili per abuso di sostanze e compulsività sessuale, gli autori ritengono che il corpus delle ricerche svolte non sia ancora sufficientemente robusto per includere senza incertezze i comportamenti sessuali compulsivi nel novero delle dipendenze. In particolare, mancano ancora dati pienamente affidabili relativi a femmine, minoranze etniche, lgbt, individui con disabilità fisiche e psichiche ed altri gruppi, concludono i ricercatori.
 
Fonte: Kraus, S. W., Voon, V., & Potenza, M. N. (2016), “Should compulsive sexual behavior be considered an addiction?”, Addiction111(12), 2097-2106.