Se la corsa diventa dipendenza
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Ma quali sono i campanelli di allarme? La quantità di tempo ed energie dedicate all’attività non è l’unica condizione che indica la presenza di un problema, anzi, spesso l’abuso quantitativo è una condizione che non si presenta e non è necessario che siano presenti tutti i sintomi individuati in letteratura, tra i quali, ad esempio, impossibilità di resistere all’impulso di mettere in atto il comportamento, sollievo durante la messa in atto, percezione di perdita di controllo, aumento del livello di tolleranza, persistenza del comportamento nonostante le conseguenze negative, presenza di sintomi di astinenza dopo la cessazione delle sessioni di allenamento, interferenza con il funzionamento sociale e professionale.
Al momento di valutare gli eventi scatenanti, Conti evidenzia la criticità dell’infortunio, visto da chi ha sviluppato un rapporto problematico/patologico con lo sport come un ostacolo che impedisce la continuazione dell’esercizio fisico: “L'infortunio blocca e questo non può essere tollerato: viene negato oppure se ne sottostima la gravità. Ci si può continuare ad allenare provando dolore o ricorrere al doping e ad altri farmaci per non avvertirlo. Tempi di riposo, di recupero e terapie vengono scarsamente considerati e, anche in caso di stop forzati legati ad operazioni, il rientro all'attività viene spesso velocizzato senza troppa attenzione.” La soluzione, conclude l’esperta, non è necessariamente ridurre o sospendere l’attività, ma “esplorare le motivazioni e i significati dati al proprio corpo e allo sport, individuando quelli che per il soggetto sono i principali aspetti positivi dell'esercizio fisico, lavorando sull'immagine corporea, l'autostima, la consapevolezza, le emozioni e i valori".