13-02-2017

Un commento alla Proposta del Governo alla Conferenza unificata del 2 febbraio 2017

Un commento alla  Proposta del Governo alla Conferenza unificata del 2 febbraio 2017 Sembra così difficile trovare un accordo sulla revisione delle regole per il gioco d’azzardo. Il governo ha presentato le sue proposte (si veda l'allegato in coda all'articolo), frutto di non sappiamo quanto laboriose mediazioni tra una pluralità di soggetti interessati. Primo fra tutti gli organi dello stato che devono difendere le entrate fiscali e poi la pletora dei soggetti economici che del gioco d’azzardo fanno impresa, e da ultimo, ma non per ultimo, gli enti locali ed i loro amministratori che da tempo legiferano, dispongono, propongono in materia di azzardo, entrando in conflitto con gli interessi economici locali e talora con le sentenze della magistratura amministrativa.
Il testo presentato e divulgato dal governo tenta di mediare, come è ovvio che la politica cerchi di fare, con le richieste degli enti locali che rivendicano autonomia decisionale e rispetto delle norme che ciascuno ha stabilito nel proprio ambito per regolamentare il gioco, ma presenta molti limiti. Il principale, da cui deriva la sostanziale insufficienza complessiva della proposta, è la mancanza di uno studio analitico accurato del fenomeno azzardo e di supporti documentati scientificamente, che possano giustificare le proposte indicate, e la mancanza di una visione complessiva, che non sia frutto solo della composizione dei vari interessi in gioco, ma il risultato di un pensiero capace di coniugare le esigenze più immediate di riduzione della offerta di gioco con quelle di lungo periodo che tengano conto della rapidità di evoluzione dei fenomeni, in particolare di quelli a forte impatto tecnologico come il gioco d’azzardo, possibilmente collocati entro una cornice culturale che dia senso e direzione al processo di regolamentazione che si vuole intraprendere.
Un documento frutto di un dibattito troppo condizionato da esigenze di essere visibili (politica) e da esigenze di salvaguardia di interessi che sfruttano proprio le debolezze della politica, la sua superficialità, approssimazione, mancanza di supporti scientifici che giustifichino affermazioni ripetute come dei mantra da tutte le parti. È del tutto evidente che ci sia una precisa correlazione tra l’eccesso di offerta di gioco e l’aumento delle derive problematiche,  in parte anche documentata nella situazione italiana ma certamente e riccamente supportata da ricerche internazionali in paesi non troppo dissimili dal nostro, che tuttavia non compaiono mai nel dibattito e nel confronto tra le parti. Sospetto anche che oltre a non documentarsi su ciò che le ricerche internazionali ci possono aiutare a capire, pochi, dei molti che fanno affermazioni sui problemi dell’azzardo e suggeriscono ricette a buon mercato, abbiano avuto modo, o voglia, di leggere quel poco che la Relazione al Parlamento sulle tossicodipendenze, depositata in Senato due mesi fa, dice sul gioco d’azzardo nel nostro paese, magari anche per rilevarne la grave inconsistenza.
Il risultato è che si confligge senza trovare un punto di accordo su quali devono essere le distanze dai cosiddetti luoghi sensibili, quali e perché debbano essere considerati sensibili, idea abbracciata con entusiasmo da tutti gli amministratori che hanno emanato disposizioni sul gioco, senza che vi sia uno straccio di documentazione sulla realizzabilità prima e sulla reale efficacia di tale misura poi. L’obiettivo comune dovrebbe essere la drastica riduzione complessiva della offerta di gioco e una distribuzione territoriale che tenga conto di parametri quali la densità di tutti i punti gioco e non solo delle macchinette, in rapporto alla popolazione residente, e alle dinamiche di flusso locale che danno senso alla geografia economica dei luoghi e possono aiutare a definire le situazioni territoriali a maggior rischio.
Non mancano i dati e le rilevazioni che potrebbero permettere di studiare le correlazioni tra come le persone si spostano alla ricerca dei luoghi in cui è possibile giocare e i volumi di gioco reali, nonché la possibilità di tracciare i flussi di denaro. Il documento governativo contiene delle ipotesi - che andrebbero però definite meglio e sostanziate non solo per le Awp di nuova concezione - sul tracciamento individuale dei profili di gioco in modo da poter personalizzare i warning sui soggetti a rischio ed eventualmente stabilire misure di limitazione sia sui tempi che sull’ammontare delle giocate. Parimenti utile ma troppo generica nella sua formulazione, la regolamentazione degli orari di attività, misura che è documentato avere efficacia sulla riduzione del tempo di gioco in particolare per quei soggetti a profilo di rischio medio alto, se è accompagnata dal monitoraggio degli ambienti di gioco e da periodiche variazioni che rendono più difficile l’adattamento del giocatore. Così come la presenza di non meglio specificate figure competenti, a protezione dagli eccessi di gioco nelle sale di tipo A, potrebbe essere una misura utile, se autorizzate anche a limitare gli accessi alle sale non solo ai soggetti in cura, il che significa attivare un registro nazionale che raccolga tutte le segnalazioni di eccesso di giochi, questione molto complessa e delicata (chi e con quali criteri identifica l’eccesso o, peggio ancora, la patologia da segnalare e a chi viene fatta la segnalazione).
Si capisce dal documento che si tratta di un vorrei ma non posso fare di più, troppi equilibri da rispettare, in primis quello delle entrare fiscali, che immagino nessuno al governo pensa di poter ridurre, soprattutto in questi frangenti, e quindi le proposte reali si riducono ad un grosso intervento sulle dinamiche di mercato, con un consistente spostamento e concentrazione delle offerte di gioco, diluito in tre anni, una riduzione del numero di Awp e dei punti gioco, di cui il documento presenta una analitica descrizione di come varierà la distribuzione regionale. Una misura che probabilmente non soddisfa gli assessori regionali che la temono come un vincolo per le loro decisioni future, e che tuttavia risponde almeno in parte all’obiettivo da tutti dichiarato di voler ridurre le modalità e l’offerta complessiva del gioco.
È tuttavia impensabile che si vada avanti con l’attuale eterogeneità e differenze di normative locali di dubbia efficacia (non c’è, e non è neanche stato previsto dalle regioni che per prime hanno introdotto normative al riguardo, alcuna misura di valutazione di efficacia dei provvedimenti e, solo parzialmente per alcuni, del grado di applicazione). Neanche nel documento governativo si fa alcun riferimento per altro, alla necessità di monitorare i cambiamenti proposti e di valutare i risultati, e questo è un drammatico indicatore della difficoltà politica di darsi una misura delle propria capacità di governare, mettendo a punto strumenti di misura di efficacia delle iniziative e delle disposizioni che vengono introdotte.
Sarebbe molto più credibile un documento che indicasse tempi e modi non solo della riduzione del numero di macchinette, ma anche di come e con quali tempi, si intende misurare gli effetti di questi cambiamenti, che per quel che sappiamo ora, potrebbero anche essere del tutto inefficaci e magari dannosi. Così come sarebbero molto più credibili le regioni se invece di disperdere risorse per finanziare progetti di dubbia utilità, sostenessero e imponessero con un certo rigore, quei processi organizzativi dei servizi che dovrebbero rendere possibile, non solo la cura dei soggetti problematici o patologici, ma anche finanziare ricerche serie in grado di fornire dati reali  sulla epidemiologia del fenomeno e sulle caratteristiche principali che possono aiutare a capire e quindi intervenire adeguatamente. Purtroppo la povertà di dati epidemiologici che mostra la citata relazione parlamentare è frutto sia del totale disinteresse mostrato dai governi degli ultimi tre anni per le tematiche della dipendenza che della scarsa tempestività e capacità dei servizi a fornire le informazioni e della poca incisività delle regioni a sostenere questi processi virtuosi che dovrebbero essere alla base di qualsivoglia scelta di policy in materia. Anche la magistratura in più occasioni ha bocciato i provvedimenti adottati da regioni e comuni con la motivazione, ineccepibile, che i dispositivi adottati non sono sostenuti da elementi epidemiologici che ne giustifichino le finalità restrittive.
Il risultato sono le inutili e strumentali polemiche di chi sostiene che i malati di gioco sono 13.000 e dunque enormemente meno del milione di persone che secondo altri necessiterebbero di cure. Posizioni entrambe fasulle, perché è noto, come avvenuto per le droghe e l’alcol negli anni dal 90’ in poi, che le persone si rivolgono ai servizi di cura se questi esistono e sanno dove trovarli, dunque il numero dei soggetti che chiederà di essere curato è destinato ad aumentare notevolmente nei prossimi anni, ma altrettanto fuorviante è l’affermazione che ci sia un milione di persone che necessita di cure al momento attuale. Questo enorme differenziale tra i due estremi produce, oltre agli effetti mediatici di scarsa utilità per l’approccio corretto al problema, la polarizzazione strumentale delle posizioni che rende difficile trovare accordi ragionevolmente e scientificamente fondati.
Manca inoltre nel documento qualsiasi riferimento alle modalità di gioco on line, da cui non è possibile  prescindere se, come si sostiene da più parti con qualche fondamento, sono destinate ad aumentare notevolmente, a maggior ragione se ci saranno restrizioni per il gioco a terra. La stessa tecnologia che supporta le modalità di gioco sul web sarebbe in grado di approntare rapidamente e a basso costo strumenti di controllo e regolazione, come un registro unico dei giocatori, la adozione di criteri standard per autolimitazioni e autoesclusioni, omogenei per tutti i gestori,  sistemi di warning commisurati a misure di eccesso sia temporale che monetario. Questi ed altri strumenti, già sperimentati e validati altrove con esiti promettenti anche se da migliorare, potrebbero essere facilmente introdotti anche nel nostro sistema regolatorio, ma il sospetto è che, non rientrando nelle competenze regionali e locali, abbiano poco appeal per la politica e non facciano immagine, pur essendo potenzialmente molto efficaci e quindi utili a ridurre le derive patologiche.
Da ultimo il tema del gioco legale e illegale, che nel documento governativo viene affrontato con la prudenza necessaria a trattare una questione di enorme complessità, suggerendo che ci si debba basare  sul presupposto che “le varie aree del Paese sono sottoposte a differenti profili di rischio di condizionamento e di infiltrazione mafiosa, oltre che della maggiore o minore propensione al gioco compulsivo, alla dipendenza da gioco patologico e a differenti situazioni di tensione o degrado sociale”. È una affermazione importante che dovrebbe mettere fine alla querelle, per ora senza alcun fondamento documentato con ricerche ad hoc, che il controllo e la riduzione del gioco legale porti con sé automaticamente un aumento della illegalità. Una affermazione che, se può essere vera in alcune aree del paese, che - come suggerisce il documento - hanno diversi profili di rischio ed apparire dunque meritevoli di attenzione e misure specifiche, non deve tuttavia servire strumentalmente a chi si oppone a qualunque strategia di riduzione delle offerte di gioco. Ancora una volta, però, tocca sottolineare che dovrebbe essere compito degli organi dello stato produrre le ricerche e la documentazione necessarie a motivare scelte e decisioni che altri hanno interesse a contrastare.
 Attendiamo dunque di vedere se ci saranno sviluppi a breve di questo contenzioso che si trascina ormai da tempo immemorabile tra stato e regioni, sperando che prevalga per tutti in primo luogo il senso di dover rispondere con evidenze e misure di efficacia di ciò che viene detto e proposto.

Maurizio Fea